Ogni volta che prendiamo una medicina, chimica o naturale, si tratta sempre sia di una medicina sia di un veleno. In effetti ciò che rende una medicina tale è proprio questa capacità di accettare l’aspetto velenoso integrandolo con quello curativo, è tutta una questione di dosi…
Il paradosso sta nell’etimologia della parola stessa: il termine farmaco dal greco phármakon, significa sia “rimedio o medicina”, sia “veleno”. Esso è sempre necessariamente entrambe le cose. Quando compare un phàrmakon, esso, pur significando un rimedio, evoca immancabilmente, anche un veleno che prenderà forma, magari, in un altro luogo e in un altro tempo, ma abita la stessa e ambigua parola: a significare la contraddittorietà della Natura.
Il veleno, così come ogni aspetto dell’esistenza che percepiamo negativo, catastrofi, malattie, morte, fa parte della Natura. Non è frutto dell’opera di uomini malvagi! Il veleno è naturale e questo si applica a ogni piano della vita, incluso quello emotivo, mentale e spirituale.
Nell’ottica di lavoro su di sé, non si tratta di estirpare il male, eliminare il veleno buttarsi alle spalle ciò che non funziona e dimenticarsene. Si tratta di riconoscere quanta parte di veleno è in noi e usarlo in modo da facilitare una trasformazione, una guarigione a “piccole dosi”, in fondo l’omeopatia si basa sullo stesso principio: il simile cura il simile.
…Tutto è veleno, e nulla esiste senza veleno – affermava Paracelso nel XVI secolo - Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto…
Il Re Veleno
La storia ci racconta che nel 120 a.C. Mitridate V re del Ponto fu avvelenato per una congiura ad opera della sua consorte, la quale divenne reggente del regno in attesa che i figli ancora bambini crescessero. La regina madre preferiva il fratello al futuro Mitridate VI, che un giorno dopo un doloroso mal di stomaco, ebbe chiara la morte del padre, e al contempo come lui stesso potesse essere la prossima vittima di sua madre.
Allora fuggì sulle montagne e visse di espedienti, imparando a fortificarsi, a creare alleanze, a conoscere popoli e usanze. Imparò 25 lingue e tutti i dialetti del suo futuro Regno, linguaggi di cui si servì senza interpreti quando divenne sovrano.
In questo lungo vagabondaggio fu istruito a conoscenze sciamaniche da tribù Sciite che gli furono molto utili per fortificarsi nel corpo e nello spirito, ma non solo.
A 20 anni circa, ritornò a reclamare il suo Regno, liberandosi di madre e fratello, divenne Mitridate VI Re del Ponto successivamente detto il Grande. Cominciò ad ampliare il suo regno verso Oriente poichè ad ovest c’era la massiccia presenza romana, ma viveva ossessionato dalle cospirazioni alle sue spalle.
Così mise a frutto le conoscenze imparate nei suoi vagabondaggi e con l’aiuto del medico di corte, assumeva ogni giorno piccolissime quantità di tutti i veleni reperibili al suo tempo. Mitridate divenne così immune non solo ai veleni, tanto che era considerato immortale, ma a tutti i tentativi di farlo fuori da parte dei nemici, i romani in prima fila. Lui risorgeva sempre dalle sue ceneri.
Aveva ormai 69 anni, quando stava organizzando la successione al trono del figlio Farnace, in un regno libero dal dominio romano come era suo sogno. Ma fu proprio suo figlio a tradirlo presso i romani. Allora Mitridate avvelenò tutto il resto della famiglia affinchè non finisse schiava in mano nemica e poiché lui non poteva morire di veleno, dovette farsi uccidere dal suo generale con la spada. L’ultima frase che disse fu:
Ho passato tutta la mia vita a rendermi immune dai veleni del mondo e nessuno è riuscito a scalfirmi, ma non mi sono guardato dai veleni più vicini a me quelli della famiglia
Dopo la morte di Mitridate VI Eupatore Dioniso, la sua formula divenne famosa in oriente e in occidente con il nome di Triaca, utilizzata con formulazioni diverse dai ricchi e dai poveri per molti secoli.
* Immagine: Photo Google Search amanita muscaria
